Non solo è stata un’attività che ho portato avanti con grande entusiasmo, ma è forse quella che finora mi ha regalato di più

Ovvero perché le tue reazioni non sono del tutto la tua responsabilità e come aver compassione verso di te.

Oggi è stato l’ultimo incontro al Carcere Circondariale di San Vittore prima di fare una pausa estiva. Qui, se non lo sai, da gennaio sto prestando servizio volontario ed offrendo due incontri settimanali di yoga terapeutico per il trauma nel reparto dei giovani adulti (18–24 anni).

Staccarmi da questa attività per prendermi una pausa non è stato affatto facile — anche se questa pausa credo di meritarmela, dopo aver vissuto quest’anno uno dei lutti più importanti della mia vita, se non quello più difficile finora. La morte di mio padre mi ha davvero messo davanti all’impermanenza, che finora avevo navigato come un concetto un po’ estraneo, lontano, nonostante avessi già fatto esperienza della morte di 2 nonni. Questo evento, decisamente uno dei momenti topici nella vita di chiunque, ha schiuso un’importante verità ai miei occhi: che la vita e la morte sono strettamente connesse, una non esiste senza l’altra e rendersene conto ti offre un grande potere trasformativo.

La presa di coscienza sul fatto che il tempo che ho a disposizione in questa vita è limitato mi ha spinto ulteriormente nella direzione che già avevo intrapreso: ovvero nell’essere attiva contro la marginalizzazione nel settore dove opero io, quello del benessere. Anche in questo ambito la differenza di accessibilità si sente. E se ne fa esperienza come in tutti gli altri settori della vita, dall’accesso alle risorse, all’educazione, alle abitazioni migliori. Credo che offrire strumenti concreti per imparare a prendersi cura di sé in maniera veramente efficace e trasformativa alle persone normalmente escluse da questo genere di pratiche sia un atto altrettanto politico come quello di lottare per la redistribuzione e l’uguaglianza sociale.

Ecco perchè il procedere con fermezza in questa direzione è per me profondamente legato all’aver aperto gli occhi sulla necessità di agire qui ed ora e non aspettare nemmeno un minuto. Per dare un senso concreto al mio ruolo nel mondo, ho abbracciato con ancora più entusiasmo questa opportunità di poter entrare in contatto con tanti giovani uomini relegati ai margini della società.

“Io davvero non mi immaginavo che avrei mai potuto fare yoga nella mia vita”.
Questa è una delle frasi che mi sono sentita dire più spesso, e che mi ha messo davanti all’urgenza di mettermi in discussione io in primo luogo, guardando in faccia il mio privilegio, e offrendo ciò che io potevo al meglio delle mie capacità e risorse. Offrire anche solo l’idea che sì, anche tu puoi prenderti cura di te, ne hai il diritto.

Senza addentrarmi nel fatto di come lo yoga venga rappresentato in maniera superficiale e fallace -ci saranno altri spazi per questo- questa presa di coscienza sulla disparità di accesso, mi ha però invitato ad essere ancora di più in ascolto di ciò che la relazione che ho costruito, nel tempo, con questi ragazzi, mi abbia offerto.
E di questo dono prezioso, voglio fare omaggio anche a te.

Lezione numero uno: costruisciti dei solidi confini

Quando ho iniziato è stato difficile. Non lo nego. Mi ha davvero messo a dura prova il fatto di portarmi a casa tutte le storie, le energie, i vissuti, i silenzi, i corpi e le parole delle persone. Dopo settimane insonni e una empatia strabordante, ho dovuto imparare che ero molto più utile se non mi facevo invischiare nelle loro situazioni. Il mio lavoro è più valido se non mi faccio coinvolgere da ciò che vedo, ascolto, percepisco. Sono di maggiore aiuto se sono pienamente presente quando sono lì ma non mi carico di pesi non miei quando esco.

Lezione numero due: sì può modificare qualsiasi cosa in corso d’opera

Le prime settimane preparavo minuziosamente le sequenze, le parole, le idee. Passavo parecchio tempo a prepararmi a ciò che avrei proposto ai ragazzi, immaginandone l’effetto e l’utilizzo, per poi puntualmente cambiarle in corso d’opera. Perchè? Per il motivo al punto seguente, ovvero che ciò che trovo davanti non è un gruppo ideale di persone di uno studio yoga del centro di Milano. Le teorie su cui mi baso, anche se lo affermano per iscritto, non mi avevano però mai veramente offerto di fare i conti con la realtà vissuta dentro all’angusto spazio che mi era -inizialmente- stato dato.
I corpi -σῶμα- delle persone comunicano. Ea seconda di ciò che mi viene comunicato, capisco come aggiustare il tiro. Ciò che offro non è qualcosa per il mio ego, ma qualcosa che deve servire alle persone a cui lo sto proponendo, per cui ho tutto il diritto di modificarlo in corso d’opera per essere di maggiore utilità, esattamente a chi ne è destinatario.

Lezione numero tre: il gruppo si auto-regola somaticamente

Si certo, se insegni yoga o lo hai già praticato in gruppo sai bene che si riesce a percepire come le persone stanno interagendo sia con te che tra di loro. Però il senso percepito nel corpo -e l’essere aperti a ricevere i messaggi- di come si muovano i sistemi nervosi dei partecipanti è stato veramente stupefacente e di grande apertura a enormi orizzonti. Vedere e sentire nel corpo come alcune pratiche potevano influire sui partecipanti e, soprattutto, si rivelavano migliori in determinati stati di attivazione (non stiamo parlando di persone libere di andarsi a fare una lezione di yoga in uno studio curato e rilassante) mi ha insegnato tantissimo. Ho potuto imparare sul campo come le persone -che vivono nel presente una condizione già di per sé traumatizzante- possono rispondere a determinati movimenti o pratiche che mirano ad offrire una connessione con il proprio corpo. E ciò che ho osservato e vissuto assieme a loro mi ha dato esperienze reali che faranno per sempre parte del mio bagaglio culturale e ha arricchito la mia cassetta degli attrezzi per servire meglio chiunque verrà in seguito.

Lezione numero quattro: come sto io influenza profondamente l’andamento di ogni incontro

Questo è forse stato l’insegnamento più importante. Di nuovo, la teoria mi era nota. Ma ho potuto sperimentare sulla mia pelle come i ragazzi con i quali ho lavorato negli ultimi mesi fossero suscettibili non solo al mio “stato d’animo”, ma soprattutto a in che stato si trovasse il mio sistema nervoso. Qui in Italia non siamo abituati a ragionare in termini di sistema nervoso: parliamo di emozioni, pensieri o tutt’al più energia nei circoli un po’ più alternativi, ma non ci soffermiamo mai a capire quanto il nostro sistema nervoso possa influire su quello degli altri. In termini tecnici si chiama co-regolazione ed è un imperativo biologico per noi esseri umani: senza di essa, periremmo*. Ecco quindi che la responsabilità di fare offerta dello yoga da uno spazio di regolazione e centratura, è importante. Il che non significa cancellare eventuali panorami interiori, ma prendersi il tempo di esserne consapevoli, col corpo e nel corpo.
Questo perchè, è fondamentale ricordarlo, è da qui che possiamo offrire un senso percepito di sicurezza, senza il quale nessun tipo di intervento potrebbe offrire alcun risultato concreto.

Lezione numero cinque: il cerchio di gruppo è uno specchio in cui ciascun componente si può riflettere nell’altro

Quest’ultimo punto è valido soprattutto per me, non sono sicura che sia percepito ugualmente, in maniera così lucida e consapevole da tutti quelli che partecipano. Però ho certamente potuto osservare le interazioni tra tutti i partecipanti e questo stare assieme in cerchio, in certi momenti, ha smantellato delle maschere di aggressività o reattività. Ma soprattutto ha validato la possibilità di fare esperienza in maniera sicura e non giudicante di qualcosa che potenzialmente è trasformativo insieme ad altri che condividevano lo stesso momento. Una sorta di piccola enclave di sicurezza -e libertà- in mezzo ad una situazione vissuta veramente sfidante. E quando dico libertà mi riferisco all’unica regola che ho offerto ai ragazzi: “L’obbligo non esiste, qui puoi fare quello che ti pare! Se una cosa che ti invito a fare non ti piace, puoi stare anche a sedere e semplicemente guardare.”

Per chiudere…

Qui ho fatto solo una piccola lista ma potrei continuare, addentrandomi in tutte le frasi e i ringraziamenti che mi sono arrivati in questi ultimi sei mesi. So solo che se c’è qualcosa di cui sono sicura, è che io desidero ardentemente continuare questa splendida avventura.
Ogni sguardo, ogni sorriso, ma anche ogni broncio e persona seduta ostinatamente sul tappetino che mi ha guardato con aria di sfida ha riservato per me un diamante di consapevolezza purissimo.

E io ne sono profondamente grata.

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N.d.A. Se vuoi aiutarmi a continuare questo magnifico viaggio puoi farmi una piccola donazione QUI

un ringraziamento profondo a ReYoga che mi ha fornito i tappetini

*sulla co-regolazione come imperativo biologico mi riferisco al lavoro seminale di Stephen W. Porges

woman smiling in front of a window in Milan, Italy, after teaching Trauma Sensitive Yoga in the Community Prison.
foto di Cristina Sinelli, dopo una lezione in Carcere, e durante l’ultima visita di mio padre a Milano